mercoledì 7 dicembre 2016

Referendum 2016 - Le "acque profonde" del Partito Democratico

In giugno, provando a delineare la situazione del Partito Democratico in un post dopo le elezioni amministrative definivo la situazione "nel guado" (vedi qui). All'indomani del Referendum sulla Riforma Costituzionale e sull'esito negativo poi riletto come una chiara sconfitta di Matteo Renzi, per il Partito Democratico il "guado" si è trasformato in "Acque profonde". 
Molto deriva dall'esito delle Elezioni Politiche del 2013 e dalla situazione di grande fluidità che ha portato alla ribalta Matteo Renzi e il suo programma. Da Presidente del Consiglio Renzi ha ottenuto alcuni successi elettorali, o quanto meno mascherato alcuni nodi irrisolti del Partito. Nodi che però ripresentandosi ad ogni tornata elettorale ne hanno minato la credibilità. Il riferimento, talora velato talora espresso, al "Partito della Nazione" non ha aiutato in nessun modo il dialogo con una minoranza del PD che sembra più marginalizzata ha provato a prendersi una rivincita con il Referendum del 4 dicembre. Il risultato del Referendum certifica una vittoria per la minoranza "rottamata" a suo tempo da Renzi. E al tempo stesso spinge il Partito Democratico in acque profonde.
Si è subito notato infatti come il Fronte del "No" assommasse diverse realtà al suo interno. Realtà che a voto acquisito non hanno perso tempo ad attribuirsi la vittoria, Salvini in testa. E d'altro canto lo stesso Renzi non ha perso tempo a prendere atto della sconfitta e a cedere le armi. In mezzo a tutto ciò, il comportamento della minoranza PD per il "No" è stato balbettante. Soddisfazione per il risultato, ma poi il nulla. Anzi, una tendenza "suicida" a pensare che il risultato del Referendum serva soltanto per il ridimensionamento di Renzi. Roberto Speranza si è espresso dicendo di non chiedere le dimissioni di Renzi da segretario PD. Il pur felice D'Alema s'affretta a portare qualche tappo in una nave che affonda quando dice "Si dovrà verificare il senso di responsabilità delle forze politiche e credo che ci sia una maggioranza in Parlamento che non intenda favorire lo scioglimento irresponsabile delle Camere". Non accorgendosi così, che nel Fronte del "No" sostenuto dalla minoranza PD altre due forze politiche, Centro-destra e Movimento Cinque Stelle, si sono da subito schierate per il voto anticipato.
In tale maniera se Renzi ha perso nel tempo l'appeal personale capace di far ottenere al PD la clamorosa affermazione delle Europee 2014, la minoranza PD getta ulteriormente il partito in acque profonde in vista del confronto elettorale per almeno due ragioni:
- ottiene una vittoria che rafforza l'opposizione al governo Renzi ma di riflesso a tutto il PD;
- si fa trovare impreparata a fornire un'alternativa a sinistra, prendendo tempo e vagheggiando un congresso del Partito.
Fatti i debiti raffronti la stessa condotta della campagna elettorale del 2013, in cui l'elettorato rimaneva disorientato da un programma indecifrabile. Se il Partito Democratico continuasse su questa rotta s'inabisserebbe senza una grave debaclè elettorale. Al contrario, la condotta di Renzi già dalla sera del Referendum fa notare una strategia. Renzi ha sbagliato in diverse scelte nei mesi passati, eppure è l'unico nel PD che abbia una capacità di colpo d'occhio d'insieme, non a caso dimostrata nel discorso post Referendum. Dimissioni e probabile cambio di rotta personale nell'azione del Partito Democratico costituiscono mosse d'apertura di una campagna elettorale molto delicata per le sorti del centro-sinistra. Lasciare il governo, puntare sul messaggio del "ripartire dal 40%" indica la volontà da subito di ricompattare l'elettorato davanti ad una sicura, al momento, affermazione del Movimento 5 Stelle.


Emanuele M. Cattarossi

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